Dispersa


 

Nuclei di dolore mangiano passi e sogni.

Agitati giorni di grasso caldo e nessuna corsa leggera.

Le mura di questa casa a chiudere tutto, i miei piedi fra le mani, un'altra fotografia lunghissima dentro al tubo freddo con un camice di carta, ne sono uscite immagini di schiena piegata e braccia deboli.

I seni sono tondi, pesano di assenza e ricordi, le mattine lunghe che brucio come sigarette che non ho mai fumato.

Mi avvicino a voi figli in mezzo a lampi di immagini di come eravate, dei movimenti che facevate addosso a me, delle vostre voci cosi mutate da non assomigliarvi, allungo le mani per ritrovarvi ma non ci siete, diventate ogni giorno una cosa diversa dai miei figli, dai bambini che sul tappeto parlavano e rotolavano di facile linguaggio, di parole nostre, di abbracci e progetti piccolissimi, stupefacenti.

Una nostalgia lacerante, un senso di vuoto tremendo, vi vengo a cercare e torno indietro senza.

Vi sogno avvinghiati al mio latte, appesi ai mei occhi, un tutt'uno con le mie labbra, carichi di baci di madre.

Eravamo gioisi, come eravamo belli noi.

Non volete più neanche una mano fra i capelli, e tutte le mie domande, non cè più posto per le domande, nessuna risposta per me al di là di grugniti e rabbia.

Immagino la terza bambina mai nata, ora qui con me accanto a questa luce, sette anni ed i capelli da pettinare, una consolazione?Bisogno di una femmina vicino, sensazione di piccola donna per ridere e capirsi?Non pensavo mai al sesso dei miei figli, se maschi o femmine, non ci pensavo mai.

A quel battito regolare e fiducioso ci penso sempre, al bum di silenzio che  è esploso subito dopo, la sala operatoria con le cicogne colorate, le ostetriche abituate a far nascere, le ostetriche abituate ad impedire di nascere.

Quella posizione sguaiata di lacerazione e vergogna, quelle gambe divaricate sul viso di lei che teneva puntato il piccolo frullatore.

Salire di sangue e pannoloni, salire sentendo una gamba morta, una bambina lasciata, una storia interrotta subito, tornare a casa senza nessuno accanto, un panino al prosciutto sul letto a mezzanotte.sola.

Sola.

"Come ti senti Andrea, perchè piangi?" ho chiesto lunedì al mio paziente.

"Mi sento disperso".

Sai Andrea, vorrei consolarti, ti accarezzo i primi dolori a forma di adulto toccandoti i capelli, ti stringo un braccio, diventi ragazzo e vorresti solo restare fra i tuoi giochi ed i tuoi disegni, dentro ai tuoi natali di bambino per non smettere quella gioia innocente e pulita, per non incontrare quelle richieste alle quali non saprai dare una risposta, ma mi sento esattamente come hai detto tu, dispersa.

Mi sento dispersa dentro una solitudine agghiacciante alla quale credo ogni giorno d'essermi abituata ed alla quale ogni fibra, nervo, muscolo del mio corpo, si ribella raccapricciando altri dolori, mettendo strati su strati di male e groviglio, i dottori non sanno curarmi perchè in fondo come si potrebbe curare tutto questo?

Il male del vuoto mi asciuga le articolazioni, mi succhia il midollo e mi batte a martello sul calore di pelle e fiato, frantumandoli.

Mangio per riempire ma resta vuoto e grasso, desolato ed obeso.

Perdere peso e liberarmi di questi massi, asciugare pancia e cosce, riprendermi vestiti e danze.

Dispersa come qualcuno che non si ritrova da nessuna parte cercandosi in tondo senza pace.



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