Al parcheggio

 


 
Quando arrivavo e vedevo le vostre macchine già parcheggiate mi veniva sempre una fitta alla bocca dello stomaco, tutte le volte indistintamente, ogni tanto, mentre facevo manovra per parcheggiare anche io, è caduta una lacrima piccola, una lacrima di gioia nel pensarvi fra poco vicine, una lacrima di dispiacere al pensiero della strada che avevate percorso per raggiungere ancora una volta il lavoro, dei figli lasciati presto, dei genitori e dei nonni malati, dei temporali e delle estati roventi.
Mi commuoveva la vostra fatica, i vostri borsoni con i pranzi che per anni abbiamo condiviso, i lunedì perché erano l'inizio ed i venerdì perché erano la fine.
È stato sempre così urgente e non trattenibile, come il bisogno di parlarvi e quello, identico, di ascoltarvi.
Certo, nessuno me lo aveva chiesto è vero, l'amore degli altri non si pretende, ma il mio era spontaneo e pulito, testardo e forse un po' ingenuo, ma non era niente altro, niente di meno.
 
In un mondo in cui: "amore mio tu" significa "sei scopabile", in cui "facciamo dei figli" si traduce in " non starmi vicino", in cui "amica mia" significa escluderti, non considerarti, non appoggiarsi, non sostenere, non condividere la gioia ed alleggerirsi il dolore, io mi sento un burattino con mezza faccia, vuoto e senza petto.



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