Domenica

 


La domenica mattina fa promesse che sa di non poter mantenere ed io, in fondo, ogni volta ci credo.

Nel pomeriggio capisco che il tempo sta mangiando le possibilità e mi muovo scomposta.

Verso sera sento il fiato strozzarsi intorno al collo e non trovo pace immobilizzandomi.

Capita che faccia buio, che si accendano le luci elettriche, che si tirino fuori gli avanzi, che si metta nella borsa del lavoro una cosa che potrebbe servirci, e così è già lunedì, in quel gesto c'è tutta la fine di un giorno di festa, c'è la promessa puttana, che va a trovare tutti e non resta con nessuno.

In quel gesto dedicato a domani è finito oggi, quel movimento è già ricominciare sospendendo le speranze, appendendo la promessa dietro una porta, è lasciar penzolare l'attesa dentro al vortice di un gorgo ripetuto, del quale conosci odori ed ombre, un gorgo di spazi angusti che ormai è la tua esistenza, la tua familiarità indossata come fai con i collant: con sempre troppo sforzo e troppa scomodità.

I collant e la quotidianità ti tirano le cosce, ti comprimono e ti fanno sentire storta finchè non torni nuda al buio, da sola.

Al buio sei bianca e tiepida, dritta, sola e disarmata.

Nuda ti accarezzi, pinzi la carne tra le mani, troppa carne che non sopporti, ti vuoi bene per la tenerezza del difetto, ti ami per la franchezza della debolezza, ti riconosci in tutti quei segni del tempo soffiati sotto pelle.

Sei tu neanche troppo in fondo, nella curva appesantita della schiena, nei passi trascinati e nel ritmo delle tue passeggiate nel quartiere.

Non cerchi più, lo senti dentro te, non cerchi più, non ci credi affatto, è stato tutto un bluff, ogni cosa.

Non vuoi che pace e respiro, libertà e solitudine, tu che sola non ci sei mai saputa stare.

La domenica ha il suono angosciato del suo fischio paranoico e possiede il vuoto di qualsiasi cosa io proponga di fare.

La camminata a Roma, la fuga al mare, il museo, il cinema, l'escursione vengono puntualmente allagati dal suo ragù grasso e silenzioso, da sempre.

Questo lockdown prima del lockdown non lo ha mai voluto spezzare e te lo vivi senza poterti ribellare, non digerisci più questo pranzo denso di male ed hai la nausea delle ore.

Il male infiamma certe giunture tanto forte da toglierti il battito per qualche istante, poi riparti sudando a fiotti la notte, hai sempre troppo freddo o troppo caldo, la vita ti scompagina, incontri la fine della tua fertilità, ritrovandoti pesante ed affannata.

Il vento, anche caldo, è comunque troppo per me, mi accende mezza faccia di scosse e punture di api inesistenti.

Piccoli insetti sotto pelle mi camminano addosso mentre vado.

Sentire la parola "maligno" riferita al tuo corpo, al tuo utero, alla tua pancia, ti fa uno strano effetto di gelo a mani e piedi, ti restituisce il ricordo di ventre pieno di voi piccolissimi e poi dei miei bambini, un luogo caldo occupato solo da battito e da benigno, un ventre che portava esclusivamente buono.

La domenica mattina fa promesse che sa di non poter mantenere mentre mi incanta gli occhi e le finestre, con uccelli e cieli di primavera, ed io continuo a crederle in un punto lontano di me che non so più come chiamare.


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