Acqua


 

Lavarsi è uno dei gesti che preferisco da sempre.

Lavarmi mi è indispensabile, un piacere irrinunciabile, non un dovere nè una fissazione, lavarmi è necessario.

Usare l'acqua per bagnarsi la pelle, allagare gli occhi, strofinare il sapone sulle braccia, grattare la nuca con la schiuma calda, scuotere i capelli sotto lo scroscio liquido, abbandonare i muscoli e le dita alla curva creata dall'onda, inarcare la schiena e seguire l'arco del fluire rapido, è un lusso fra i più grandi.

Quando il corpo scrocchia di pulito e fresco, quando mi raggiungi con le orecchie bagnate e qualche traccia di sapone, le guance lisce ed umide, per riprendere i baci, quando mi sento pulita, quando mi asciugo forte, quando sgrullo l'acqua dalle vertebre unite in blocchi di male per sentirle liberarsi e respirare da dentro, l'acqua allora mi stupisce di benessere e morbidezza.

Acqua madre di gocce e spruzzi.

Lavare qualcuno che amiamo, i miei bambini fra le mani da sollevare sotto le piccole ascelle alate di leggerezza e spingerli, strofinarli, massaggiarli di fresco e profumo, curarci di noi, di loro, amare con gesti lenti oppure movimentati nei giochi estivi di piscine e laghi, lavarsi di notte dopo aver fatto l'amore ed assaporare il freddo che sale addosso sapendo di poter correre a riprendersi il calore, ad addormentarsi in un nuovo codice di abbracci e strette e spinte e trattenute.

Lavarsi con l'acqua e nuotare in mare, togliersi il sale, liberare la sabbia fra le dita, dare refrigerio alla scottatura del sole, offrire acqua da bere, raccogliere il sudore di una malattia o di una camminata a cuore battente.

Uno spicchio di sole a gennaio rubato a Roma insieme a due supplì e ad una piazza di vestiti, fiori e spremute e le fontanelle della nostra città svergognata.

L'acqua addosso che preme e cinge, l'acqua in faccia che sveglia e deterge.

L'acqua che diluisce il sangue e la morsa al ventre.

Lavare ancora lavare.

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