La corsa ed i suoi capelli



I suoi capelli raccolgono il sudore, impigliano la bellezza che scivola via spietata,si muovono nei passi del giorno.
Lei cammina dietro alla sua vita cercando di riprenderne il passo, ma non la raggiunge, continua a spruzzare stanchezza, puzza di fatica, resta sempre dietro, in affanno.
Scuote la testa, non era questo che voleva, si è sbagliata, crede di poter arrivare e fiancheggiare la sua esistenza, di farla virare, si illude di riuscire a compiere quella curva decisiva e procedere verso altre destinazioni.
Corre inciampando sui suoi piedi, si prende a calci le caviglie, si morde le labbra, alza la mano per far segno a sè stessa di fermarsi, di aspettare.
E' lei stessa a procedere, è un gioco di ombre, un inganno di luci, un'allucinazione sovrapposta.
E' lei che avanza, che crede di non potersi fermare, perchè i bambini e la casa ed il lavoro.
E' lei che in questa ragnatela melmosa non riesce a muoversi se non così, è lei che non riesce a mangiarsi la ragnatela, a sputarla, ad uscirne, a pulirsi la pelle.
E' lei che non riesce a costruirsi un'altra ragnatela, vorrebbe ricominciarne una da capo, ma la vorrebbe senza lacci, senza nodi, piena d'aria, piena di spazi aperti.
Allora cammina e piange di rabbia, ogni sera prende un'unghia di pastiglia per sopportare l'andatura, la ingoia e dorme un sonno pieno di sogni vividi.
Il corpo le duole, a volte le scappa un grido di dolore, i crampi le contraggono le mani, poi le si incendia la schiena, altri giorni ha morsi ai fianchi, la tormentano le vertigini, le vene della testa iniziano a pulsare sangue a gettate irregolari e piene di spilli.
Lei continua a raccogliersi i capelli con le matite che trova e va e va e continua ad andare.
Spesso si siede e fa partire il carillon di legno con le sue parole dentro, su quel biglietto c'è la scrittura di suo padre, suo padre non scrive mai, quella volta del carillon si, ha scritto a lei.
E' estate ma stavolta non fa differenza, potrebbe essere qualunque tempo, lei ha freddo ogni notte sempre alla stessa ora, i brividi la scuotono, lei non vuole litigare, la lotta la avvilisce, vorrebbe tacere e guardare lontano, passa troppi giorni, troppi mesi a testa bassa a correre solamente, che poi, che corsa sciocca a guardarla da lontano, che corsa patetica, con quella schiena curva, con quella schiena brutta.
Corre ed ingoia l'unghia di pasticca per non smettere di correre.
Come un animale in gabbia, sedato, intrappolato dalla sua stessa distrazione.
I suoi capelli vorrebbero boschi ed ossigeno, alberi e cortecce, sentieri senza parcheggi.
La nuca è restata sempre la stessa,fin da quando piangeva per essere sfamata, la medesima nuca fragile, la stessa fame implacabile.
A volte le fanno male persino i capelli, fin dentro ai nervi degli occhi, non vede più bene, ma tanto conosce la strada, è sempre quella.
Allora, improvvisamente li scioglie questi capelli, li tiene nella mano, sono contorti e pesanti nel loro disordine,a lasciarli liberi le invadono la schiena, solo in quei momenti osserva i suoi capelli davvero e si accorge che sono diventati lunghissimi.

Davvero troppo lunghi.

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