Quando lei arrivava



Quando lei arrivava lui la sentiva prima che arrivasse.
Piombava come può fare una sciagura, fra capo e collo.
Faceva il chiasso di un gruppo di ragazzini, il suo arrivo era forte come finestre spalancate d'improvviso.
Cambiava l'aria in un colpo, diventava più fresca, più pulita, più frizzante.
Lui alzava il naso ed annusava in giro, lei era lì, al suo stesso piano di lavoro, dall'alto poteva talvolta guardare il suo ingresso nel grande ufficio.
Scendeva dal suo abituale taxy sempre trafelata, la spalla del cappotto scivolata in basso, la borsa a tracolla come le studentesse, i capelli perennemente spettinati, lunghissimi, spesso fermati da una matita mentre si metteva a fare le telefonate per la segreteria.
Indirizzi, cartelle, numeri di telefono, aveva tutto sotto controllo sempre, almeno a lui sembrava così.
Un ordinato disordine, solo lei sapeva raccapezzarcisi.
Quando era malata non era praticamente sostituibile in tutto quel marasma che aveva lasciato il giorno prima.
Quando lei arrivava lui trovava una scusa per andarla ad incontrare per i lunghi corridoi morbidi di moquette, il passo silenzioso, lo sguardo attento, le orecchie in ascolto sottile.
La voce di lei era ruvida, quasi maschile, maledettamente femmina.
Lui voleva solo guardarla, un pò da lontano, un pò da vicino dicendole cose senza senso.
Era come se pensasse che lei sarebbe stata troppo per lui, troppo bella, troppo giovane, troppo divertente, troppo appassionata, troppo fragile, troppo tenera.
Lui accanto a lei si era sempre sentito vecchio nonostante fossero nati nello stesso periodo.
Troppo stanco, troppo curvo, troppo anemico, troppo annoiato.
Quando lei arrivava era un fiume in piena.
Un tempo erano stati molto vicini, una passione bruciante, a tutto tondo, dove il sesso non era stata l'ultima cosa, ma forse la penultima, parlavano invece e ridevano ed il lavoro non era mai entrato nei loro discorsi.
Non erano mai diventati genitori, perciò ogni tanto parlavano di come sarebbe stato ed era bello ed era penoso farlo.
A lui veniva voglia di chiederle come si facesse a vivere e contemporaneamente di cosa avesse bisogno per farlo.
Lui talvolta avrebbe voluto omogeneizzarle la vita perchè a pezzi così grossi non ce l'avrebbe fatta ad ingoiarla, altre volte invece sentiva che da sola aveva già inghiottito e digerito tanti dolori ingrassando anche un pò per l'angoscia che le avevano lasciato addosso.
Era forte ed era minuscola, ed era giovane e vecchissima, quando lei arrivava era il riassunto di tutte le contraddizioni di una vita.
Era estremamente felice, e tristissima, era instancabile ed affannata per una semplice riunione del personale, era capace di rivoluzioni emotive che la lasciavano senza forze e poi di nuovo rigenerata, starle accanto non era facile.
Starle lontano era una condanna, una condanna alla quale avevano deciso di piegarsi dopo pochi anni, nel momento in cui solitamente una storia prende una forma precisa, è quello e non altro, oppure svanisce e muore.
Loro erano morti, avevano deciso che sarebbe stato più facile così, ma quando lei arrivava, sembravano ricominciare e respirare insieme, debolmente, senza intenzione.
Riprendevano a respirare naturalmente come un pesce rimesso in acqua, o come un uccello che ricominciasse finalmente a volare.
Lui non avrebbe voluto mai scuoterla nè guardarla in faccia per chiederle nulla, era esattamente tutto come prima, in fondo, da qualche parte dentro di lui, una parte della quale aveva smarrito le coordinate.

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