Che razza di amore è?
Fratello maggiore rivolto a fratello minore:" però tu non vuoi bene al tuo peluche Yuma come io voglio bene al mio peluche Mimmo".
Il fratello più piccolo risponde con faccetta triste e confusa, la madre riversa bocconi sul letto, al termine di una giornata normotipo indi devastante, decide di intervenire: " sai figlio mio più grande, non è giusto fare sempre paragoni fra te e tuo fratello piccolo, giudicando in maniera negativa ogni cosa che vi rende diversi, te lo dico con il cuore in mano perché tu mi somigli molto ed anche io spesso tendo a pensare che se qualcuno non ama alla mia stessa maniera non ama bene e punto, tendo a credere che esista un solo modo di amare e tutto il resto è una scusa, ma vedi figliolo, fare questo è sbagliato perché ognuno possiede il proprio modo di amare e questo non andrebbe mai misurato, prendete me e papà, siamo molto diversi in coppia, io bacio, abbraccio, faccio coccole, complimenti e lui no, questo non vuol dire che mi ami di meno di quanto faccia io capito?"
Figlio piccolo:" ammazza che brutto."
Madre:" cosa tesoro?"
Figlio minore:" che brutto questo modo di amare, senza baci, senza abbracci, senza coccole, ma che razza di amore è?".
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SERIE: Ho Fatto il Classico ma in sette anni - I capolavori della Cvltvra ellenica
PLATOONE - OI DIALOGOI
PARTE XII: AMORE E ALTRE ROBE DA DONNE
(traduzione originale dal greco antico senza testo a fronte che tanto non lo guarda nissvno che puoi mettere la lista della tintoria di Aristofane che non se ne accorge nemmeno la prof.)
NdT: Alcune delle formule di saluto e di lode rivolte dall'allievo al Filosofo, pur apparendo ai giorni nostri venate di sarcasmo se non offensive, erano affettuosi epiteti comunemente accettati alla scuola di Atene.
Platoone: Ti vedo pensieroso per il periplo atenaico, o buon Pedante.
Pedante: Maestro, la cui immensa saggezza è pari solo a desiderio di farsi i cazzi del prossimo, ho avuto una discussione (NdT "scazzos" nel testo originale, termine accadico non direttamente traducibile)con Epatite, il mio compagno.
Platoone: a quale proposito discutevate, mio buon allievo? La vita? La morte? Gli elementi indivisibili? La caverna? Gli auspici divini? Dimmi, orsù.
Pedante: Egli sostiene che non vi è amore senza manifestazione fisica di tale sentimento, o venerabile guida che non ne azzecca una.
Platoone: E non è questo il tuo parere?
Pedante: Io ritengo che l'amore si possa dimostrare anche nei fatti, nelle parole, nel comportamento, nella propria storia, senza doverlo confermare ogni giorno o in maniera vistosa , o sommo erogatore di domande ovvie.
Platoone: di cosa ti incolpa, dunque, Epatite?
Pedante: di non dirgli mai ti amo, di non abbracciarlo quasi mai e mai in pubblico, di non coccolarlo se non su mia richiesta. Ritengo il suo un comportamento inaccettabile. Cosa ne pensate, maestro eccelso e paracelso, della cui opinione chiunque farebbe a meno?
Platoone: ordunque Pedante, da un lato è vero che ognuno ha il diritto di avere il proprio carattere, di avere un'indole poco avvezza alle tenerezze. Ma d'altro lato l'amore si vive in due o più di due, e bisogna tenere conto delle esigenze dell'altra persona quasi più che alle proprie. Senza contravvenire del tutto alla propria natura, se capisci quello che dico.
Pedante: Dici una cosa ed il suo contrario, o vecchio con il cervello nei sandali. Egli mi ama? E comunque io lo amo di più di quanto egli non mi ami?
Platoone: Chi non dice mai parole d'amore, o non avvolge il compagno nelle calde spire lacoontiche dell'abbraccio, o non posa su di lui le sue labbra ludiche, o non strofina il di lui capezzolo con il padiglione auricolare, o non titilla il vigoroso membro
Pedante: ho capito! Ho capito! Possiamo concludere, prima che la morte vi ghermisca gli ultimi giorni che vi rimangono per insozzare con la vostra presenza il Peloponneso?
Platoone: insomma, mio pudico allievo, chi non si lascia andare, secondo la mia filosofia di anni e anni e anni di meditazioni, non è del tutto convinto e preso del suo amore. Che facile dovrebbe venire il languire tra le forti braccia dell'amato, e sussurrargli verba amorose, e percorrere il suo corpo con erbe aromatiche ed olii profumati
Pedante: non le ho chiesto la ricetta dell'arrosto, o vate visibilmente arrapato sotto la tunica sia pure dotato di scarsi mezzi a giudicare dalla pochezza del rigonfiamento. Cosa devo fare, allora?
Platoone: tu meriti un amore totale, devastante, sfibrante, e se Epatite ti da un amore liofilizzato, io credo che tu
Pedante: la mano, maè!
Platoone: ?
Pedante: La mano sul cvlo, maestro. Se m'a toje, magari, eh. Ma anvedi sto marfidato ("Stronzos" nel testo originale)
Platoone: colorito il tuo idioma laziale, o Pedante.
Pedante: mavedidannatteneafffan (NdT termine sbrigativo con cui erano solite terminare le discussioni i popoli della regione di Patrasso, forse traducibile con il latino :"laziale tu sorella")
SERIE: Ho Fatto il Classico ma in sette anni - I capolavori della Cvltvra ellenica
PLATOONE - OI DIALOGOI
PARTE XII: AMORE E ALTRE ROBE DA DONNE
(traduzione originale dal greco antico senza testo a fronte che tanto non lo guarda nissvno che puoi mettere la lista della tintoria di Aristofane che non se ne accorge nemmeno la prof.)
NdT: Alcune delle formule di saluto e di lode rivolte dall'allievo al Filosofo, pur apparendo ai giorni nostri venate di sarcasmo se non offensive, erano affettuosi epiteti comunemente accettati alla scuola di Atene.
Platoone: Ti vedo pensieroso per il periplo atenaico, o buon Pedante.
Pedante: Maestro, la cui immensa saggezza è pari solo a desiderio di farsi i cazzi del prossimo, ho avuto una discussione (NdT "scazzos" nel testo originale, termine accadico non direttamente traducibile) con Epatite, il mio compagno.
Platoone: a quale proposito discutevate, mio buon allievo? La vita? La morte? Gli elementi indivisibili? La caverna? Gli auspici divini? Dimmi, orsù.
Pedante: Io sostengo che non vi è amore senza manifestazione fisica di tale sentimento, o venerabile guida che non ne azzecca una.
Platoone: E non è questo il suo parere?
Pedante: Lui ritiene che l'amore si possa dimostrare anche nei fatti, nelle parole, nel comportamento, nella propria storia, senza doverlo confermare ogni giorno o in maniera vistosa , o sommo erogatore di domande ovvie.
Platoone: di cosa lo incolpi, dunque, Epatite?
Pedante: di non dirmi mai ti amo, di non abbracciarmi quasi mai e mai in pubblico, di non coccolarmi se non su mia richiesta. Ritengo il suo un comportamento inaccettabile. Cosa ne pensate, maestro eccelso e paracelso, della cui opinione chiunque farebbe a meno?
Platoone: ordunque Pedante, da un lato è vero che ognuno ha il diritto di avere il proprio carattere, di avere un'indole poco avvezza alle tenerezze. Ma d'altro lato l'amore si vive in due o più di due, e bisogna tenere conto delle esigenze dell'altra persona quasi più che alle proprie. Senza contravvenire del tutto alla propria natura, se capisci quello che dico.
Pedante: Dici una cosa ed il suo contrario, o vecchio con il cervello nei sandali. Egli mi ama? E comunque io lo amo di più di quanto egli non mi ami?
Platoone: Chi non dice mai parole d'amore, o non avvolge il compagno nelle calde spire lacoontiche dell'abbraccio, o non posa su di lui le sue labbra ludiche, o non strofina il di lui capezzolo con il padiglione auricolare, o non titilla il vigoroso membro
Pedante: ho capito! Ho capito! Possiamo concludere, prima che la morte vi ghermisca gli ultimi giorni che vi rimangono per insozzare con la vostra presenza il Peloponneso?
Platoone: insomma, mio pudico allievo, chi non si lascia andare, secondo la mia filosofia di anni e anni e anni di meditazioni, non è del tutto convinto e preso del suo amore. Che facile dovrebbe venire il languire tra le forti braccia dell'amato, e sussurrargli verba amorose, e percorrere il suo corpo con erbe aromatiche ed olii profumati
Pedante: non le ho chiesto la ricetta dell'arrosto, o vate visibilmente arrapato sotto la tunica sia pure dotato di scarsi mezzi a giudicare dalla pochezza del rigonfiamento. Cosa devo fare, allora?
Platoone: tu meriti un amore totale, devastante, sfibrante, e se Epatite ti da un amore liofilizzato, io credo che tu
Pedante: la mano, maè!
Platoone: ?
Pedante: La mano sul cvlo, maestro. Se m'a toje, magari, eh. Ma anvedi sto marfidato ("Stronzos" nel testo originale)
Platoone: colorito il tuo idioma laziale, o Pedante.
Pedante: mavedidannatteneafffan (NdT termine sbrigativo con cui erano solite terminare le discussioni i popoli della regione di Patrasso, forse traducibile con il latino :"laziale tu sorella")
Serie: Ho fatto l’alberghiero e si vede
Capitolo XVXLIII: AMORE ATOMO ovvero Il triangolo no.
Traduzione a cura delle sorelle De Sanctis, Opera e Pia.
Erano dunque i giorni in cui con danze e balli si festeggiava la ninfa Euterpe, vestale del tempio del sacro criceto e protettrice dei parcheggiatori abusivi di cocchio.
I sacerdoti portavano seco sacre libagioni attinte da mani pure in fonti perenni. Braci ardevano sui crateri diffondendo essenze che rendevano lievi i piedi dei danzatori.
Beavasi il saggio ed anziano Platoone dello spettacolo di tanti giovinetti discinti inebriati dal ritmo dei cimbali e dei tamburelli.
Ivi stavano invero anche esseri impuri, femmine, vascello del demonio, le cui succinte vesti nei giri della danza coprivano a malapena le lubriche pudenda. Egli non le degnò di uno sguardo.
Ma assiso in una pietra miliare vedevasi il giovane allievo Pedante, cupo in volto e pensieroso. Anche Pedante si avvide dello sguardo del venerabile maestro, ma troppo tardi dal potere sottrarsi alla di lui leggendaria invadenza, distando ormai da lui pochi prepuzi (NdT unità di misura in uso presso le popolazioni Pre Micenee, pari a un quinto del sacro coccige della statua di Idomeneo a Tirinto, ora perduta).
Platoone: cosa ti duole l’animo, mio giovane allievo?
Pedante: che sfiga incocciarvi, (Vale sempre la nota sui saluti rituali del capitolo sull’amore esternato), o mio Vate. Tanto vale, nell’impossibilità di sfuggire al dialogos, che vi esprima d’amore le mie pene.
Platoone (la ultima parola pronunciata da Pedante provocandogli ancorchè salivazione aumentata et occhio umettato): or dimmi, cosa vi rabbuia?
Pedante: vidi stamane il mio compagno, di cui sapete Epatite essere appellato, con lo sguardo che comunemente si attribuisce agli Ebeti che popolano la penisola di Kardamili. Ed egli reggeva, goffamente mal celato al mio sguardo, un biglietto. Dammelo, gli urlai, dammelo! (sed anche codesta ultima parola pronunziata con veemenza dal focoso Pedante provocasse smottamenti inguinali al vetusto Filosofo).
Così che, cedendo con riluttanza alla mia insistenza, lo potei leggere.
Platoone: e cosa vi era ordunque tracciato, mio maschio seguace?
Pedante: Invincibile Zeus, lo stavo per dire, vostra immarcescibile curiosità! Lessi che un altro dei suoi allievi, o imbarazzante maestro, tale Diabete, figlio di Sucate, indirizzava parole dolci et amorose al mio Epatite, e dal tono delle frasi appresi che codeste lepidezze venivano in replica ad altrettante scritte da Epatite a Diabete. Così che non mi fu chiaro (che Epatite ascose e negò vi fossero stati in precedenza altre corrispondenze similia) da quanto la tresca durava : “ma no è il primo biglietto, ma cosa vai a pensare, testina” disse con voce stridula, trattandomi da ingenuo (NdT “cojonè” nel testo originale).
Platoone: così lo lasciasti al suo destino, nevvero, mio seminudo atleta? E ora sei libero come una voluta del fumo sacro a Funeste?
Pedante: così non è (NdT “Seeee te piacesse” nel testo originale). Che egli mi confuse non poco poscia con le sue verba, affermando che si può amare più di una persona di contemporaneo, purchè a nessuno degli amati venga negata alcuna cosa dall’amare gli altri. Cosa ne pensate, mio fallibile e sostituibile filosofo?
Platoone: Che a me quella reperita dall’infidele Epatite pare una giustificazione degna di tal Commodo dell’isola di Paracvlos. Che l’amore è unico ed indivisibile, come l’atomo, che costituisce tutta la materia che forma mari e continenti. Non ho timore di essere smentito nemmanco in futuro riguardo a questa incrollabile verità. Così come la terra è piatta, che il sole le gira in torno, e che la ninfa Bagasha è vergine.
Pedante: avete ragione, anche se io porto la mia parte di colpa che mai ho rivolto ad Epatite ditirambi e tetrameri tanto aggraziati quanto quelli che gli scrive Diabete di Sucate. Leggete, pio maestro (NdT “pio percvlo” nel testo originale, oscura quanto arcaica formula denigratoria).
Platoone: mi piacerebbe, ma, come dicono gli Astigmatici dell’isola di Presbios, senza lenti non vedo una beata mazza.
Pedante: ed è per questo che la cercate a tentoni nella mia tunica, o maschio di scrofa?
Platoone: ma che dici?
Pedante: la mano. Via le mano dar pacco, maè! Taccivostra (invocazione cara al culto dei morti in riva allo Stige)
Platoone: ancora queste vostre declinazioni laziali!
Pedante: Mavamorìammazzato (NdT: ulteriore lemma riconducibile al “laziale tu sorella” in voga all’Olympikos del Pireo).