L'immortalità di domani
Credo che dovremmo insegnare ai nostri figli a morire.
Penso che insegnare loro a vivere tralasciando la morte, sia un lavoro di dubbio valore, incompleto, insufficiente.
Comprendo che sia più facile insegnare ad amare la vita che far prendere dimestichezza con l'ineluttabile fine, anche se talvolta è un'impresa titanica anche passare questo amore.
La morte non dovrebbe piombare sulle teste dei bambini come un evento imprevedibile, come una disgrazia nella quale inciampare vivendo, un buco oscuro di cui non parlare ma del quale avere terrore, continuamente, silenziosamente.
La morte non è l'opposto della vita ma un'appendice di essa, vivendo si muore.
Potremmo crescere i nostri bambini ponendo la loro attenzione sull'immortalità dei piccoli gesti, sul passaggio di ricordi, sensazioni, esperienze, sugli scambi profondi, sul petto uguale al loro padre e le unghie spiccicate a quelle del nonno.
Mi piacerebbe far riflettere i miei figli sul fatto che siamo immortali ogni giorno, quando chiediamo ad un amico cosa farà per Natale e mancano ancora sei mesi, quando acquistiamo 16 bottiglie di passata di pomodoro perché era in offerta ed il pensiero ci va ai sughi che prepareremo nelle domeniche di pioggia, alle lasagne con la crosticina ai bordi, quando facciamo l'amore e ci sembra che in quel momento non potremmo morire mai, quando compriamo un piumone caldo per l'inverno che verrà, quando facciamo il cambio di stagione, quando prenotiamo un albergo, quando diciamo:" l'anno prossimo si va in montagna", quando organizziamo un compleanno a sorpresa o nel momento in cui, guidando di mattina presto, pensiamo "stasera preparerò una bella torta".
Siamo davvero immortali, fino a che non moriamo.
Commenti
Condivido con te la convinzione che ai bambini bisogna parlare tanto della vita quanto della morte, e che bisogna parlarne il più possibile serenamente e nascondendo le angosce che sorgono dentro ognuno di noi solo a pensarci. Credo che questo rifiuto collettivo a considerare la morte parte della vita di cui ne è la fine, così come consideriamo parte della vita la nascita che ne è l'inizio, sia sintomo della regressione emotiva che accompagna di pari passo la progressione della conoscenza, della tecnologia e della vita comoda, come se ad ogni generazione si raggiungesse la maturità sempre più tardi anche come sentire collettivo.
E'giusto parlarne ai bambini, ma da qui al pensare che in qualche modo questo li possa far soffrire di meno.....io a 5 anni ho visto morire la bisnonna nel suo letto, a casa mia non era un tabù, ma non credo che questo mi abbia in qualche modo fatto soffrire di meno
Parere personale, eh !
E' anche giusto forse, vivere questa sofferenza lancinante, mi preoccuperei del contrario, muore qualcuno al quale tengo e non sento dolore...tentavo solo di arrivare ad un altro grado di consapevolezza,ad una idea diversa della morte, a qualcosa che dee essere preso in considerazione, toccato, affrontato, non nascosto.
Ciò che è nascosto ci spaventa molto di più.
Il dolore è un'altra cosa, e quello non ce lo toglie nessuno.
Ti abbraccio
La morte.
Un filosofo aveva scritto che la natura è benigna perchè ci distrae dal pensiero quotidiano della ineluttabilità della morte, della nostra caducità.
I bambini incontrano inevitabilmente la morte.
Nelle loro storie (la mamma di Bambi, la strega cattiva), ma anche nella vita reale (un nonno o un genitore di un amico; un gatto).
Quindi hanno la consapevolezza che la morte non capita solo ai cattivi o ai vecchi, come a volte viene da dire loro in maniera consolatoria.
Penso che la cosa migliore sia quella di non parlargliene prendendo noi l'iniziativa.
Però bisogna sempre rispondere alle loro domande, quando le pongono.
Talvolta i peggiori nemici delle domande sono le risposte.
Quindi rispondere in modo diverso a seconda del proprio bambino e del proprio vissuto, ma sempre con sincerità e con onestà, perchè è sui temi importanti che ci si gioca la credibilità di genitori nei loro confronti, anche per il futuro.
- E' vero Sabrina, non si è mai pronti, più facile essere pronti comunque per la propria che per la altrui morte.
- Non credo più nella sacralità della vita ad ogni costo, nè nella sacralità di ogni vita. Ci sono vite di valore e no.
- Non riesco a capire, Silvia, la seconda parte del tuo post, sia pure chiusa con maestria, con punta di fioretto finale (che mi fa dimenticare quel brutto "di essa"). Poche cose sono eterne, e quelle poche sono appannaggio di chi produce cultura o arte. Mi sfugge l'immortalità del quotidiano. Tenero, bello, trasmissibile, condivisibile. Per una, due generazioni. Ma qui stiamo parlando di eterno. Chi conosce qualcosa dei propri bisnonni?