La mattina
La mattina il sole mi sveglia, piccoli cerchi caldi sulle caviglie, sulle unghie scure di smalto lucido e femmina, sull'ombelico che batte di sangue, sulle braccia lunghe, sul collo pallido, sul seno liscio come olio.
Apro l'aria che viene dall'orto, è ancora fresca e limpida, umida di notte e brina, di pomodori ed uccelli, e strappi di nuvole nuove, che ricambiano quelle di ieri ormai vecchie.
La mattina spalanco la luce del giorno e mi ci riempio la faccia, annuso fuori e mi sembra di trovarci un pezzo di mare.
Respiro l'aria sedendomi sul letto, impulsi e spinte mi lanciano in piedi, mi pizzica la voglia, mi fa vibrare il desiderio.
Sono confusa la mattina, perchè sento la consistenza dell'acqua, la promessa di un nuovo giorno che poi non viene mantenuta ma è pur sempre una promessa, e le promesse si sa, non si mantengono quasi mai.
La trama dei miei vestiti, il battito del mio cuore, il caffè sul fuoco, la croccantezza dei biscotti, il balcone pieno di aria tutta da riscrivere ed inglobare.
La mattina ho la possibilità di amare molti uomini e molte donne, perdutamente.
La mattina l'umanità mi attrae, l'immagine dei peli sul petto, il fianco sporgente, l'osso nella gola quando un maschio deglutisce, una maglietta che scopre la pancia mentre si allunga per prendere una cosa.
La mattina le cose mi stordiscono, i miei bambini pieni di profumo dei miei bambini sui colli teneri, i loro piedini con le dita minuscole che diventeranno grandi, le gambe tonde sul legno delle stanze mentre giro scalza per la casa chiara, il vento che gonfia le tende e la voglia pazza di restare.
La mattina porta dentro il desiderio di creare, cambiare faccia, occuparsi di cose belle, dedicarsi ogni momento con intensità e gusto.
La mattina ho quasi quarant'anni e non mi sembra tanto giusto.
La mattina mi sdraio di nuovo fra le lenzuola, il cotone addosso mi commuove per la sua accoglienza e mi fa male la pancia se solo penso che dovrò lasciarla.
La mattina mi stiracchio ed allungo come una gatta nel sole, metto in ordine i cuscini e guardo da lontano la casa che lascio immaginando quando ci rientrerò.
La mattina guardo i vasi, i libri, la polvere sulla credenza, le tazze capovolte che sgocciolano di lavaggio fresco, i panni nei cassetti, i mucchietti di calzini e slip, i messaggi sul frigorifero, le fotografie nelle cornici, i disegni dei bambini, le nostre tracce, i nostri percorsi cancellati e ripresi mille volte.
La mattina guardo indietro prima di chiudere e quelli siamo noi.
Commenti
Chiudo con un tentacolo l'opercolo auditivo per attutire l'impatto della sua frequenza subsonica.
Apro due dei tre occhi e le pareti della mia caverna si mettono a fuoco. Sono malfermo sulle mie sei zampe. Un grosso insetto avanzo della cena della sera precedente si stacca dal soffitto e rotea spaventato nella stanza mutando continuamente di colore e lasciando una scia luminosa nell'aria. Nel buco sul soffitto posso vedere il cielo verde.
Sul comodino gli animaletti di vetro che la mia mente ha prodotto durante i miei sogni mi fissano come a ricordarne le trame.
Ora mi ritorna alla memoria: le pillole allucinogene! Silvia ne ha distribuite troppe, ieri sera.
E si sa che il giorno dopo è facile avere ritorni di fiamma, rebounds.
Mi alzo, le gambe sono diventate due e terminano con un piede ciascuna. Due miei occhi ora mi fissano dallo specchio, mi riavvio i capelli i capelli con le mani. Due mani. Dieci dita.
Sono in una stanza, le pareti bianche, una finestra luminosa.
Mi vesto, mi metto la cravatta, le scarpe, un vestito grigio. La mia valigetta.
Devo andare a lavorare. Guido una macchina. La solita strada, prati, alberi,nuvole in cielo, palazzi, passanti. arrivo in ufficio. Silvia mi accoglie, la sua bocca sorridente, i suoi occhi azzurri un pò colpevoli. Seduta, le gambe accavallate, le braccia scoperte.
Silvia, le tue pillole hanno colpito duro, dico. Anche stamattina, tutto è così assurdo.
Silvia mi cinge le spalle con una chela chitinosa, agita dolcemente la coda e mi dice: coraggio, hai visto, adesso è tutto finito.
Alzo uno pseudopodo, socchiudo una branchia, depongo un uovo. Le squame mi fremono.
E' vero, dico. Com'era tutto così assurdo...
Allora prendiamo uno smurl dalla pozza, lo dividiamo, facciamo colazione poi produciamo per gemmazione piccole sfere di comunicazione interaziendale e le guardiamo volare verso i due soli.